mercoledì 27 aprile 2011

IL ROCK E' MORTO, LUNGA VITA AL ROCK!

           
A pensarci bene non sono passati tanti anni dalla nascita del Rock ‘n’ Roll. Se prendiamo per buona la data di nascita ufficiale, il 1954, parliamo di meno di sessant’anni e, da allora, il rock è già morto e risorto molte volte. Prima però di raccontare questi straordinari avvenimenti e questa strepitosa, esplosiva, tumultuosa cesura epocale, sarebbe il caso di chiarire brevemente il concetto e di dissipare una confusione sempre più tollerata anche dai puristi e dagli esperti in cose di rock. Sempre più spesso infatti, il termine “Rock ‘n’ Roll” viene usato (bisognerebbe forse dire abusato) per descrivere qualsiasi fenomeno musicale che anche solo in apparenza, rispecchi e rimandi a quelle atmosfere, a quegli ideali, a quella forza ribellistica e contestataria. Basta vestirsi glam, essere cool, puntare allo shock, passare su MTV una volta su due e si è subito, irrimediabilmente Rock ‘n’ Roll. Ma, giusto per fugare ogni residuo dubbio (se mai ancora ce ne fossero) Lady Gaga non è Rock né tantomeno Roll, i Take That non sono un gruppo punk e Madonna non è l’erede di Janis Joplin. Non è il caso di farne una questione tassonomica ma a volte fare le dovute distinzioni aiuta. Aggiungo inoltre che poi non è che basti avere una chitarra fra le mani e suonarla al massimo del volume per essere “Rock” e che tante stelle brillanti del firmamento musicale sono solo la brutta copia di un rocchettaro verace. Il Rock ‘n’ Roll strictu sensu è durato poco più di un lustro ed è la musica che suonavano Bill Haley, Buddy holly, Carl Perkins, Chuck Berry, Eddy Cochran, Fats Domino, Hank Ballard e, manco a dirlo, sua maestà Elvis presley.
Chiarito questo punto è interessante notare che i fenomeni musicali, ed in particolar modo quelli più rivoluzionari, hanno breve durata ma anche una straordinaria capacità di dilatarsi nel tempo e di incidere fortemente sulla cultura, sull’arte, sulla società, sulla moda e sul costume. Addirittura il linguaggio e le ideologie subiscono gli effetti di quelle piccole grandi rivoluzioni anche molto dopo la loro scomparsa “ufficiale”. Prendiamo ancora ad esempio il Rock ‘n’ Roll; la musica era già dentro il cambiamento e nel frattempo lo descriveva e, in qualche modo, ne dettava le regole. Gli USA uscivano dalla seconda guerra mondiale con nuove paure (la guerra atomica e i comunisti) e vecchi problemi (il razzismo, la tensione tra interesse pubblico e privato, una morale della malafede e del pregiudizio repressiva e frustrante) ed i modelli concepiti per risolvere le numerose contraddizioni di una società così complessa non sembravano sufficienti ad arginare la vitalità di una generazione nuova che in quelle paure e in quei modelli non poteva e non voleva riconoscersi. I giovani della generazione del Rock ‘n’ Roll guardarono il mondo degli adulti per la prima volta forse davvero disorientati perché non riuscivano più a riconoscersi nei valori che quel mondo cercava testardamente di imporre. E allora, alla compostezza si sostituirono la maleducazione e la sfrontatezza, alla quotidiana pavidità dell’uomo medio si contrapposero l’arroganza e lo sprezzo del pericolo, l’ammiccamento sessuale e la trasgressione presero il posto delle rigide norme di comportamento della morale puritana. Ogni cosa sembrava diventare l’antitesi di qualcos’altro. Non si trattò di mero fervore adolescenziale ma di un nuovo modo di concepire la gioventù e la vita. E infatti non è finito tutto nell’arco di una generazione. Il Rock ‘n’ Roll si suona oggi quanto ieri e si ascolta oggi quanto ieri e il cambiamento che ha raccontato è transgenerazionale ed è in realtà il racconto di un desiderio, di una inarrestabile volontà di trasformazione. E’ quasi la storia di una necessità. E quello che si può dire per la rivoluzione del Rock ‘n’ Roll è possibile dirlo senza esitazioni per il “flower power”, per la stagione psichedelica, per il blues revival, per il “Rock classico” e per il punk; nessuno di questi fenomeni è durato al suo massimo creativo per più di un quinquennio (escludo le eccezioni per ragioni di spazio) ma le ripercussioni generate da quei fenomeni sembrano non avere fine, si trasformano sempre in qualcos’altro, si riciclano e si attualizzano. Il rock è morto sì, ma ha indubbiamente, una strepitosa capacità di rimettersi in piedi.
Si sente dire sempre più spesso infatti, e lo dicono soprattutto gli esperti  ogni volta che possono quando non hanno più argomenti super-raffinati da spendere, “il rock è morto”. Sì ma che vuol dire? Il Rock non muore e non vive, è un’idea, uno stile di vita, o ce l’hai o non ce l’hai, o c’è o non c’è. Quando una corrente musicale non ha più niente da dire, quando un artista scompare perché ha esaurito la sua vena creativa, quando per lungo tempo non ne compare uno che faccia colpo, non c’è da preoccuparsi, la musica è fatta di idee e di emozioni e le idee e le emozioni cambiano, la musica è la colonna sonora del cambiamento ed i cambiamenti non avvengono senza emozioni e senza idee. Ed è proprio questo il problema del Rock negli ultimi decenni, non è morto ma qualcuno sta cercando di ucciderlo. Il fatto è che il mercato ha trasformato il rock (e quindi anche la sua carica rivoluzionaria) in merce, e gli ascoltatori in consumatori e così ha ridotto un fenomeno culturale, sociale, artistico di enorme portata in un prodotto da supermercato.
Ma il Rock è ribelle per definizione, non si vende e non si compra. Il Rock bisogna patirlo.
Alla prossima e mettete dei fiori nei vostri…
Alfredo Garribba
Qualche consiglio:
Bill Haley: “Rock ‘n’ Roll on stage”- 1956
Chuck Berry: “After school session”- 1957
Eddie Cochran: “Singin’ to my baby”- 1957
Everly Brothers: “songs my daddy taught us”- 1959
Fats Domino: “Carry on rockin’”- 1955
Gene Vincent: “bluejean bop”- 1956
Little Richard: “here’s little Richard”- 1957
Johnny Cash: “Johnny Cash at Folsom prison”- 1968
Buddy Holly: “The chirping crickets”- 1957
 Elvis Presley: “Elvis Presley”-1956
E tanto, tanto altro       

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